In aprile 2014 pubblicavo un articolo che riportava una buona notizia: l'antico vigneto di Baver dove la vite era maritata agli alberi e censito nel catasto napoleonico, era salvo dalle ruspe. http://primaveracivica.blogspot.it/2014/04/gli-antichi-vigneti-di-baver-sono-salvi.html
Ora a quasi quattro anni di distanza arriva un'altra buona notizia pubblicata nella Tribuna di Treviso del 19 gennaio 2018 con un articolo di Marina Grasso
TREVISO LA TRIBUNA DI VENERDI 19 GENNAIO 2018
Il ministero dell'Agricoltura ha inserito la piantata veneta nel Registro
Nazionale dei paesaggi rurali
La vite maritata,
patrimonio di Stato
di Marina Grasso
di Marina Grasso
Era un vero e proprio matrimonio combinato - solido e duraturo - quello con
il quale la vite veniva "maritata" agli alberi.
Un matrimonio che
doveva garantire la minore competitività tra i congiunti, scegliendo
attentamente i sostegni vivi per dare adeguata ombra e protezione con le fronde
ma anche un apparato radicale non invasivo ed evitare che gli alberi comunicassero all'uva gusti spiacevoli (come il
"salgarìn" del salice bianco, o il "formighìn" del noce).
Insomma: doveva essere una scelta oculata, dettata dall'esperienza, anche
perché gli alberi dovevano anche fornire i rami per legare i tralci durante la
potatura, le foglie potevano servire per la bachicoltura e la legna per fare
gli attrezzi agricoli.
E anche la vite da "maritare" doveva essere scelta con
attenzione, custodendo la varietà dei vitigni,
così se qualche malattia ne attaccava uno, ce ne sarebbero stati altri utili a
compensare la perdita: accorgimenti imparati dall'esperienza secolare che
rendevano questi matrimoni praticamente perpetui. All'inizio dell'Ottocento
l'abbandono degli alberi a favore dei pali si diffondeva in tutta Italia per
migliorare la qualità dell'uva, ma nel
Veneto la pratica della vite maritata, nota anche come "piantata", restò
predominante ancora molto a lungo.
Lo racconta anche un articolo del 1868 sul periodico "Il
Raccoglitore", che descrive la pianura veneta «regolarmente tagliata da
filari di viti maritate ad alberi di varie famiglie, con interfilari coltivati
a grano, quasi che i filari delle viti fossero destinati a marcare l'unità di
misura superficiale dei poderi e a servire all'estetica».
Ma poi, i pali hanno preso il sopravvento anche qui, i vini sono
sicuramente migliorati e quei filari di viti e alberi non tagliano più la
pianura.
La piantata veneta, quella che disegnava
quel paesaggio, da ieri è ufficialmente entrata nel Registro Nazionale dei
paesaggi rurali storici, riconosciuta dal ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali come pratica agricola che caratterizza le attività
agricole e la loro vitalità: iscrizione che non comporta alcun vincolo
ulteriore rispetto agli strumenti in essere, ma valorizza la coniugazione tra
sostenibilità e vitalità che la piantata veneta esprime.
Ed è una nuova vittoria per l'Associazione Culturale Borgo Baver Onlus,
nata nel 2007 per dar voce alle istanze di Baver, borgo di Godega Sant'Urbano,
nel Trevigiano. Grazie all'attività dell'associazione, da qualche anno gli antichi
vigneti di Baver - dove la piantata
veneta è documentata già nel Catasto Napoleonico del 1811 e le viti sono
sostenute da imponenti gelsi, aceri campestri e olmi - sono tutelati da un
vincolo di natura etnoantropologica emesso dalla Soprintendenza non solo
sull'area agricola ma anche sulla secolare tecnica di coltivazione della vite, riconosciuta come bene immateriale.
Tecnica che ora l'iscrizione al
Registro del ministero delle Politiche Agricole ratifica essere espressione
della coltura promiscua e della diversità che caratterizzano il paesaggio
italiano. E che, in un territorio dominato dalla quasi totale monocoltura del
Prosecco diventa un'importante testimonianza che guarda al futuro e preserva la
biodiversità, proprio come negli intenti del Registro dei paesaggi rurali
storici. Registro in cui, tra l'altro, la piantata veneta è in eccellente
compagnia: accanto ad essa, infatti, ieri sono stati iscritti
·
la fascia pedemontana olivata fra Assisi e Spoleto;
·
il paesaggio della Pietra a Secco dell'Isola di Pantelleria;
·
il parco regionale Storico agricolo dell'olivo di Venafro;
·
il paesaggio policolturale di Trequanda, nelle colline senesi,
· il paesaggio rurale storico di Lamole in Chianti.
A A Vedelago e dintorni quante piantate sono rimaste?
Camminando per la campagna se ne vedono veramente poche.
Come si potrebbero incentivare i contadini a preservare questo prezioso elemento del paesaggio veneto?